Muovo la bocca come lui. Non emetto alcun suono come lui. Quindi io cosa sono? Quando mi guarda, il modo in cui mi guarda... lui non sa cosa mi manca. Né che io sono incompleta. Lui mi vede per ciò che sono, come sono. Ed è felice di vedermi. Ogni volta. Ogni giorno.-Elisa (usando la lingua dei segni) dal film "La forma dell’acqua" di Guillermo Del Toro, 2017
"Penso che i mostri siano gli angeli custodi delle nostre imperfezioni, che consentono ed incarnano la possibilità di fallire e di continuare a vivere": queste le parole del registra Del Toro alla premiazione dei Golden Globe per la sua ultima opera cinematografica. Ma i nostri mostri chi sono veramente?
Mostro: dal latino segno divino, prodigio; dal tema monere: “avvisare, ammonire” . Una realtà che potenzialmente ci spinge a trascendere (dimensione divina) ed allo stesso tempo ci vuole avvisare, rendere consapevoli di qualche cosa.
In terapia spesso mi sono imbattuta in sogni di mostri: animali striscianti e disgustosi che molestavamo il sognatore, figure spettrali terrorizzanti cariche di rabbia e distruttività. Nella mia esperienza clinica il mostro psichico è il non amato, ciò che è stato ripudiato, dimenticato, ostracizzato, il reietto. È una parte di noi che è rimasta primitiva, che non ha potuto evolversi socialmente poiché si è dovuta nascondere, e così non possiede le abilità relazionali per confrontarsi, per dialogare: è muto, come la protagonista Elisa del film "La forma dell’acqua". Può essere un bisogno di dipendenza che il bambino non ha potuto vivere e, rimanendo imprigionato nelle acque oscure e buie dell’inconscio, prende la forma di agiti adulti violenti, che richiedono in modo tirannico la totale attenzione dell’altro.
Il mostro è ciò che non si può redimere, ciò che ci sfugge al controllo, ciò che ci fa essere ciò che siamo veramente: angeli e demoni. Ciò che nelle relazioni intime fa capolino e spesso produce nell'altro, ancora un’altra volta, una risposta di rifiuto. Ma a volte, come nel film-fiaba di Del Toro, l’altro accoglie la mostruosità, si avvicina con grazia, gentilezza ed amore e le porge un uovo: ricettacolo di vita e di trasformazione. Così solo l’accettazione incondizionata dell’incompletezza, dell’imperfezione, dell’embrionale, permette la nascita di una vera relazione d’amore e di una nuova vita.